Che cosa è un Istruttore
CHE COSA È UN ISTRUTTORE
(Tratto da Vidya, Ottobre 1975)
11. Dobbiamo riconoscere che tutti siamo maestri di qualcuno. Un padre è il maestro del proprio figlio, un insegnante è maestro dei suoi alunni, un chirurgo è maestro del suo allievo; un ladrone può essere maestro di molti... allievi. Fino a quando esistono l’ignoranza (avidyā) e la conoscenza (vidyā) ci sono maestri conoscitori e alunni che cercano la conoscenza perché, appunto, ignorano qualcosa.
Così, la figura del guru non ò tipica dell’insegnamento spirituale o yoga; spesso, però, questa verità viene dimenticata.
Il guru, dunque, è necessario? Per colui che ignora qualche cosa è indispensabile. La figura del guru nasce dall'esigenza stessa della coscienza condizionata dell'uomo. Uno studente può fare a meno del suo insegnante? Qualcuno potrà dire che può esserci un autodidatta. È vero, e il maestro dell'autodidatta è appunto il libro, è la parola diretta di un «guru», è l'esperienza di un insegnante o di un istruttore; può essere la Vita stessa impersonata da amici, nemici, dal dolore, ecc. Più che mettere in discussione la figura del maestro in quanto tale, potremmo mettere in discussione il suo insegnamento, la sua condotta operativa, la sua modalità didattica, il suo rapporto con gli allievi, ecc.
Ci sono Istruttori a differenti livelli coscienziali, quelli che possono dare solo un aiuto sentimentale o intellettivo, altri che possono dare un aiuto psicologico, e altri ancora che non danno alcun aiuto se non a se stessi, in varie maniere. Ci sono anche i falsi istruttori e i falsi profeti, e non sono pochi, ma di questi non vogliamo occuparci.
Ma, nel campo iniziatico, che cosa è un Istruttore o un Maestro? È vero Istruttore colui che può trasmettere un «influsso spirituale». Egli, con il solo influsso, può far crescere i discepoli: ciò può avvenire in un àsram quando essi hanno modo di condividere l'«aura» dell'Istruttore.
Ricordiamo che il Maestro dovrebbe essere un trasmettitore di energie, uno stimolatore di «semi» che giacciono nel cuore del discepolo, non un insegnante di nozioni ne una persona che cerca di aiutare esclusivamente nell ambito dell’infraumano e per cose profane. Se ci si chiede chi possa chiamarsi Maestro, nell’accezione più pura, si può rispondere che può chiamarsi Maestro solo il Realizzato, il Liberato, colui che ha trasceso il mondo della māyā, colui che di umano non ha più niente, colui il cui regno non è di questo mondo, colui che, essendo libero, può liberare; essendo amore, può amare; essendo conoscenza, può illuminare; essendo beatitudine, può rendere beati. Più ci si avvicina a questa condizione elevata, più il numero dei Maestri si restringe.
Un autentico Maestro è tanto più Maestro quanto meno è maestro. Non è Maestro colui che vuole per forza essere Maestro, non è Maestro colui che vive solo la pulsione di qualità infraumane, non è Maestro chi vende la Dottrina al migliore offerente, non è Maestro chi vuole fare di tale stato una «professione», non è Maestro chi sostiene di possedere in esclusiva la Verità o di avere una sua Verità. La Verità esiste già, com’è sempre esistita, e l'Istruttore non ne è che il trasmettitore. Ogni Istruttore, comunque, può avere metodi particolari per stimolare altri alla Verità. Il più grande dei Maestri è Iśvara, il Signore della vita, e questo Maestro sommo è invisibile, per quanto si trovi nella profondità del nostro cuore. Più il Maestro microcosmico si avvicina a quello Macrocosmico, più la sua azione si esercita tramite «l’invisibile e ineffabile radiazione armonica del cuore», l’inaudibile e molcente ultrasuono che stimola e fa germogliare.
Nell’āśram, l’Istruttore è un Magnete risonante e non un «capo», nel senso che si dà a questa parola né un presidente di organizzazioni né un consolatore di anime afflitte da problemi psicologici e profani. Se si ha, infatti, la capacità di vivere gradualmente la Visione del «Magnete», molti problemi dell'infraumano vengono automaticamente risolti, anche perché vengono a cadere quelle cause che li hanno determinati.
Quando un Maestro si erge o si trincera dietro il velo-mayahico del potere-autorità egoico non può essere Maestro, tutt’al più un precettore, istitutore, comandante, pedagogo. Nella sfera dell’infraumano si opera tramite l’energia dell’autoaffermazione, del potere, del comando volitivo, dell’unilateralità; ma sul piano del Principio - che rimane fuori da ogni azione individuale - non è più il potere esclusivo e condizionante a determinarsi, bensì il donarsi innocentemente, l’offrirsi come il profumo di una rosa, senza chiedere, senza desiderare alcuna cosa, neanche il consenso e la sottomissione dello stesso discepolo.
Chi è, si svela e basta, senza aggiungere altro.
L’ Istruttore, se veramente è tale, Incarna un Principio, o se, ancora, non ha raggiunto la maturità spirituale (trascendenza dell'individualità), ma si trova, comunque, nella giusta «posizione coscienziale», riceve l’influsso non direttamente, ma tramite qualche āśram o Maestro a livello del sottile. (Si parla di influsso non di telepatia, medianità o altro che sono condizioni passive dell’infrasensoriale. L’influsso deriva da un Principio che è di ordine impersonale).
L’Istruttore che abbia trasceso l'individualità non può più essere impulsato da qualificazioni riferentisi ad essa; rimane compiuto in se stesso ed è al di là di ogni desiderio, sia esso di potere, di denaro, di onori, di fama, ecc.; diremo che è al dì là dello stesso desiderio di insegnare e avere discepoli.
I grandi Istruttori del passato e del presente rinunciarono e rinunciano a tutto ciò che l’individualità generalmente esige, quindi, a tutto ciò che il mondo profano può dare. Per sé, un Istruttore cerca di sopperire ai più elementari bisogni del corpo, per quanto possa accettare delle modeste donazioni, anche in denaro, soprattutto se non ha proventi personali.
Un Istruttore che ricerca la fama, la ricchezza, l’autorità egoica, i discepoli, la quantità più che la qualità, ecc. non è un Istruttore: è un discepolo con la conoscenza teorica della Dottrina, ma con la coscienza ancora oberata da condizionamenti dell’individualità.
12. L’Istruttore non cerca il consenso dei discepoli, la devozione passiva, le lodi o altro, ma la crescita spirituale. L’Istruttore ha solo un intento, se intento si può chiamare: quello di far crescere, quello di portare il discepolo dalle tenebre alla luce, dal conflitto alla pace profonda, dall’individualità alla Personalità (intesa in senso tradizionale) o dal particolare all’Universale. L'Istruttore mira a realizzare nel discepolo la «morte iniziatica».
Chi incarna un Principio tende, ovviamente, a svelare il Principio acciocché i componenti dell’āśram possano gradatamente essere il Principio. Se un Istruttore brama di essere perennemente l’Istruttore e il capo dei suoi discepoli sì da tenerli sempre in uno stato di inferiorità, non è un Istruttore.
Il più grande dono che il discepolo possa offrire ad un vero ed autentico Maestro è quello di diventare, a sua volta, Maestro-Principio.
Il più grande omaggio o inchino che il discepolo possa fare ad un Istruttore è quello di trovare la Beatitudine nel proprio cuore, la Liberazione, la Gioia di Essere. Il più grande favore che il discepolo possa fare all’Istruttore è quello di creare uno sforzo costante di essere ciò che è la coscienza del Magnete. Non c’è amore che si possa portare all’Istruttore se non quello che sospinge verso la Liberazione.
L’unico modo di «ricompensare» un Maestro è quello di dare ad altri, che sono pronti, ciò che gli è stato dato.
13. La posizione di un Maestro in seno all’āśram è simile a quella del sole con i pianeti: la sua stessa silenziosa presenza stimola, illumina e fa crescere; questa dev’essere ritmata e accordata allo stadio di coscienza dei discepoli. Troppo fuoco può bruciare; a volte, incenerire; troppo freddo può allontanare e disperdere. Se ricordiamo che l’Istruttore è trasmettitore d’influsso, riconosciamo che questo dev’essere irradiato con intelligenza e conformemente alla necessità del caso, non alla richiesta indiscriminata ed emotiva del discepolo.
14. La crescita dei discepoli nell’āśram si misura dallo sviluppo del loro senso di responsabilità; il buon andamento di un āśram dipende, non solo dall'Istruttore, ma soprattutto dalla responsabilità dei componenti asramici, dalla capacità dei discepoli i apprendere, assimilare e mettere in pratica la Dottrina, di portare nell’oggettiva espressione la verità del piano intellettivo. Può capitare che alcuni allievi non reggano la vibrazione impersonale e sovraindividuale dell’Istruttore: la loro coscienza è troppo orientata al piano dell’io, per cui sono condizionati dal rapporto individuale. L’io esige, vuole, pretende; l’io cerca di adattare la Verità alle sue convinzioni, l’io chiede esclusivismo e conforto psicologico, ma l’Istruttore non lì per appagare l’io, è lì per farlo morire; eppure molti discepoli non comprendono questo rapporto impersonale. D’altra parte, dobbiamo riconoscere che ci sono individualità che si accostano alla Realizzazione senza avere le minime qualificazioni di base.
15. Che cosa è un discepolo del cuore del Maestro? È un discepolo che si trova molto vicino all’incarnazione del Principio-Istruttore. È il più bel rapporto si possa stabilire tra Istruttore-discepolo. Tra i due c’è commensura, concordanza, affinità, c’è unione. I due stanno realizzandosi come unità. Non è un rapporto basato sull'autorità, sulla devozione, sull'Istanza di ricerca intellettiva, ma sulla «simpatia» spirituale, sull'Accordo coscienziale, sulla sintesi delle due note, e, a certi livelli, sul l'identità principiale. Sul piano del manifesto, non c’è cosa più bella che l'Intonarsi, l’Incontrarsi; non c’è dono più gradito alla Vita che realizzare l’Armonia la quale risolve l'incompiutezza e fa sbocciare il fiore dell'Amore.
La posizione coscienziale più giusta del discepolo verso la conquista di tale Unione è quella del «silenzio» ad ogni livello e l'aspirazione profonda alla captazione del Principio da esprimere. Può costituire, questa, una linea di approccio alla Verità universale. In questo modo la realizzazione del discepolo avviene sviluppando l'udito interno, la musicalità della nota, e captando — tramite la sensibilità della sua corda vibrante — la Bellezza geometrica della Vita-principio dell'Istruttore.
Con tale rapporto non occorrono libri perché il discepolo si accosta direttamente alla Vita, intonandovisi.
È una via diretta di Accordo; in altri termini, tra l'ente-discepolo e la Vita non ci sono intermediari. È simile alla condizione di due corde di strumenti musicali che al risonare dell'una l'altra risponde per induzione, per risonanza, per disponibilità ricettiva. È un rapporto basato sull'Amore-Accordo, che non è di ordine del sentimento; l'Amore-Accordo accorcia le distanze, annulla lo spazio, fonde e armonizza. È degno di nota che tale Accordo-Amore, appartenendo ad un certo ordine vitale, si esprime nella libertà, quindi, non è amore imprigionante, esclusivo e appropriatore.
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